Due casi di anoressia
La storia di Lisa.
Lisa si rivolge al medico di famiglia a causa di forti dolori addominali che perdurano da circa due mesi. Gli esami ai quali il medico la sottopone evidenziano un grave prolasso delle pareti intestinali causati dalla perdita di peso.
Lisa ha 22 anni, da poco più di due ha iniziato un dimagrimento che l’ha portata al di sotto dei 40 kg. Il medico la invia per una consultazione al locale ospedale dove il chirurgo le prospetta un intervento per ripristinare le pareti collassate.
Un intervento risolutivo che lei rifiuta.
Il medico la invia presso il mio studio con una nota ‘ la ragazza rifiuta le cure. É refrattaria all’idea di guarire’.
Due anni e mezzo fa è uscita dalla casa dei genitori con un uomo più vecchio di 5 anni.
Lui se ne va circa un anno dopo, provocandole un crollo di una certa entità, che vede l’acuirsi della sua magrezza.
Aveva già iniziato una dieta un anno prima di uscire di casa, ma quella separazione porta ad un esito drastico, (30 kg in meno di otto mesi).
Non fa ritorno dai genitori, ma si fidanza con un ragazzo conosciuto in discoteca e lo porta a casa sua.
In pochi mesi questa storia ha termine.
Chiama allora a convivere un vecchio amico di infanzia.
Quando hanno inizio le sedute, costui è in procinto di andarsene.
Mia madre ha detto che, visto che Gianni (l’attuale coinquilino) sta per andarsene, sarebbe il caso di tornare là, con loro, ma io non tornerò mai più a casa con lei! ‘
E perché? domando io.
‘Lei entra in camera, entra dappertutto. Per ogni cosa facciamo liti furibonde!’.
La vita con la madre viene descritta come un inferno: una presenza incombente e penetrante.
Poi, e questo è un ritornello che ritornerà in tutte le sedute, copre tutto con un ‘Ma Io la amo. Lei è tutto per me’.
Poi aggiunge: ‘I miei genitori non si sono mai accorti che stavo male. Oggi almeno con la questione del mio prolasso, vedono quanto soffro.’
Per contro, il padre è descritto non all’altezza, inerme e disinteressato a lei e alle vicende familiari.
Le sedute seguenti sono un’alternanza di descrizioni di un rapporto impossibile, a frasi del tipo‘ ma non mi separeranno mica da mia madre, vero? Io non mi posso staccare da lei’.
Prima di uscire di casa, una lite con la madre, contraria a questa scelta, sfociò in un suo defenestramento.
Dopo la sua dipartita hanno continuato a frequentarsi regolarmente.
Solo adesso, dice, che il primo ragazzo se ne andò anche per questo.
É passato un anno e mezzo dal primo colloquio e Lisa ha ripreso gran parte del suo peso. Ha trovato un piccolo lavoro serale per sopperire all’affitto che è venuto a mancare. La madre, dopo che ella ha dichiarato di non voler fare ritorno a casa, è scivolata in una depressione di una certa entità accompagnata da grave calo ponderale.
Continuano a vedersi, alternando momenti di pace a feroci litigi causati dalla richiesta materna di ritorno a casa.
Richiesta alla quale fa seguito un aggravamento della patologia rettale di Lisa, con conseguente ricovero in day Hospital.
Quando Lisa è entrata nel mio studio il coinquilino era in procinto di andarsene, provocando in lei una forte crisi d’angoscia. Un affetto che era giunto ad un culmine insopportabile, in tutto simile a quello provato al momento della separazione dal primo compagno, quando si aprirono le porte per un possibile ritorno alla casa materna.
La costruzione anoressica di Lisa, iniziata tra le mura domestiche, non ha sortito nel tempo l’effetto di elemento separatore e protettivo Ella ha pertanto dovuto aggiungere a ciò la presenza di un uomo per pagarsi una casa lontana dalla madre, anzi, più uomini in successione.
Ecco allora l’origine dell’angoscia delle prime sedute, legata all’avvicinarsi del desiderio dell’Altro. Angoscia che raggiunge il culmine quando la risposta al quesito cosa vuole l’Altro da me appare nefasta: tornando a casa, lei può divenire l’oggetto preso. Ecco allora, cadute queste due putrelle, l’identificazione alla patologia rettale. Più attuale, ma conseguenza medica della magrezza fisica, sintomo più strutturato e antico.
Un nuovo strumento col quale Lisa ricostruisce la barriera, più funzionale dell’armatura anoressica, che può quindi essere lasciata cadere.
Da qua il significativo recupero ponderale che stupisce molti medici, che la ritenevano ‘guarita dall’anoressia’. Questo rapporto semi simbiotico appare essenziale alle due per sostenersi. É qualcosa di non sopportabile, ma nemmeno di risolvibile.
Non può stare troppo vicino a lei, ma allontanarsene sembra preludere a uno scompenso. Consapevole della natura fagocitante, cerca di renderlo il meno pericoloso possibile. Come un tossicomane che utilizza la droga come elemento curativo ad una sottostante struttura a rischio di scompenso, rendendola meno pura e più tollerabile, senza però mai mettere in dubbio la sua necessità di continuare ad assumerla.
Quando dice: ‘ nessuno mi separerà da mia madre’, e ‘ io lo so che la faccio soffrire non tornando a casa e a causa di questa mia malattia’, indica la volontà non dialettizzabile di mantenere il legame inalterato.
‘ Non so perché. Io e lei siamo legate in questo modo. Non mi chieda altro. Lo stare assieme non si discute.’
Con che tipo di anoressia abbiamo a che fare in questo caso?
Un’anoressia durata circa tre anni e oggi ‘risolta’ in poco tempo in prospettiva peso/ sopravvivenza.
Questo rimanda alla questione della diagnosi differenziale. Lisa non ha mai operato alcuna rettifica in merito al suo dimagrimento. Mai ha domandato aiuto. Cioè non ha mai avvertito che quel sintomo avesse raggiunto un livello di dolore non più gestibile tale da giustificare una messa in discussione. Non siamo quindi nell’ordine del sintomo nevrotico ‘dal quale il soggetto non chiede che di liberarsi’ .
Di più, l’attenuarsi dell’anoressia ha coinciso con l’adesione pressoché totale ad un’altra forma di malattia, con la quale ha tutt’ora un’identificazione. Malattia che;
1 le permette di tenere una giusta distanza dalla madre
2 di farle pagare qualche conto arretrato ( ‘anche lei sta male!’)
3 Le garantisce quel riconoscimento che con la fase anoressica non era mai arrivato.
4 Riesce ad agganciarsi ad un discorso medico, molto articolato, fatto di visite e ricoveri.
Insomma l’Altro le riconosce lo status di ‘malata’ e le dà un posto.
Ecco allora che la patologia rettale, più che l’anoressia, le permette di reperire un significante col quale riesce ‘a farsi rappresentare e organizzare il ( suo) mondo”.
Possiamo parlare di un elemento che funge da tenuta. Dunque non una produzione dell’inconscio, quanto piuttosto un elemento in analizzabile.
Nella prospettiva psicoanalitica lacaniana il sinthomo è un “elemento riparatore (..),una guarigione, un elemento terapeutico” . Qualcosa che “non è da interpretare, ma è da ridurre, e non è da guarire, ma si presenta perché se ne faccia uso”.
Un ponte che garantisce il contatto e la via di fuga, che per definizione, non può essere ‘guaribile’. Questo mi ha fatto riflettere sul furor sanandi di molti medici.
A cosa sarebbe andata incontro se avesse accettato la proposta di ripristinare le sue pareti rettali strappandole di colpo un sintomo così elaborato? Avrebbe aperto le porte ad uno sfaldamento del soggetto? Non a caso lei ha detto no all’intervento.
La storia di Fedra.
Fedra attraversa un periodo caratterizzato dall’insorgenza di violenti attacchi di panico, come lei stessa li definisce.
Le sensazioni riferite sono quelle di “dolore dell’anima”, difficoltà nel respiro, blocco del pensiero e delle azioni . Il momento più critico, a seguito del quale si è rivolta a me, si verifica quando, uscita di casa dopo una violenta lite con i genitori, viene sopraffatta da uno di questi “attacchi”, perde il controllo dell’automobile e finisce in una scarpata.
Al nostro primo incontro mi dice di soffrire da molto tempo di un dolore non definibile, un malessere che l’ha sempre accompagnata e che solo in questo ultimo periodo è sfociato in queste violente ed invalidanti crisi che le impediscono di “andare avanti”.
Fedra ha 25 anni, un fidanzato, lavora in un negozio di scarpe e vive con i genitori.
All’età di17 anni restò incinta a seguito di un rapporto occasionale con un coetaneo.
Non pronta ad affrontare la maternità̀ prese la decisione di abortire.
Si recò in clinica accompagnata soltanto dalla zia.
Porta dentro di sé la rabbia verso la madre che, interpellata, non se la sentì di starle vicino perché era “ sconveniente” mostrarsi con una figlia che stava per abortire.
La madre viene tratteggiata nel corso delle sedute come una donna invadente ed anaffettiva, non rispettosa del limitare degli spazi della figlia ( “mi stava sempre addosso col pensiero fisso di darmi da mangiare”)
Il dialogo familiare è inesistente, l’invasività di questa donna assume, nel corso degli anni, livelli parossistici. Per contro c’è un padre assente, annullato e relegato nello spazio perimetrale della televisione, privato di qualsivoglia potere decisionale.
Uscita dalla clinica la sensazione provata e mai più dimenticata fu quella di essere “sola, senza nessun punto di appoggio o di riferimento”. Il momento dell’aborto è un punto buio, pesante ingombro del passato col quale non è mai riuscita a fare i conti.
È proprio da quel momento che sono comparsi episodi di vomito auto indotto ed ha fatto la sua comparsa la sensazione di morte dell’anima. Apprendo in questo modo che da sette anni soffre di una forma di anoressia restrittiva, priva di crisi bulimiche, che le sta segnando non poco il corpo. A tal proposito non ha mai richiesto nessuna forma di aiuto.
Fedra vomita solo tra le mura di casa, quasi sempre alla sera, quando la madre l’aspetta per cenare assieme. Nonostante allunghi sempre più gli orari di ritorno dal lavoro l’incontro è inevitabile, e le liti si intensificano in frequenza ed acredine.
Nel tempo l’angoscia è diventata una costante della sua giornata, e quelli che lei definisce “attacchi” si sono intensificati insorgendo non solo sulla soglia dell’abitazione, ma anche durante il tragitto che dal lavoro la riporta a casa. L’idea di dover tornare in quel luogo blocca di fatto la ragazza.
Più di una volta scoppia a piangere sulle scale di casa prima di riuscire a suonare il campanello.
Nel corso delle sedute arriva sempre più a soggettivare l’impossibilità di fare ritorno a casa della madre e svela che l’unico motivo valido per il quale non se ne è mai andata è il suo cane.
L’animale vive con lei, nella sua camera, dove gli prepara da mangiare e lo accudisce. É l’oggetto d’amore antico e privilegiato, intercapedine posta tra lei e l’invadenza dell’Altro materno.
Dopo molte sedute, ritorna sulla sera dell’incidente.
Cosa era accaduto di più grave rispetto alle altre giornate?
La madre era entrata nella sua stanza e aveva dato da mangiare al cane. Questo mandò Fedra su tutte le furie, ne nacque una lite furiosa a seguito della quale si precipitò fuori di casa accusando un senso di costrizione cardiaca, mancanza di respiro e paralisi delle braccia. Salita in auto si verificò l’incidente.
Compare un abbozzo di lavorazione della domanda, poiché́ dopo tanta sofferenza. Fedra avverte ormai impellente la necessità di dover “andare via da li per poter sopravvivere”. Sono i primi movimenti di separazione. Chiede aiuto al fidanzato, che non si dimostra pronto e chiede ancora un anno di tempo per poter fare il grande passo.
Nel pieno dell’estate è al culmine della sua prostrazione fisica, all’apice della sua magrezza e ormai resa invalida dagli stati di panico che la affliggono anche nel corso della notte. Morde il freno e impone al fidanzato una
scelta affermando: “O lui viene, o io vado sola! Ormai ho deciso. Tanto ho il mio cane”.
Fedra prende in mano le redini del proprio desiderio togliendo la delega che aveva affidato alla refrattarietà del fidanzato, che si adegua al suo desiderio e accetta di seguirla.
Oggi vivono assieme nella nuova casa con l’inseparabile cane.
Le crisi di panico sono scomparse. L’angoscia, un tempo compagna costante della sua vita, è ormai localizzata soltanto nei cosiddetti “ giorni di festa”, quando si reca
dai genitori per le visite di cortesia. Le crisi di vomito si sono attenuate ma non sono scomparse. L’incontro con l’enigma del desiderio dell’Altro genera angoscia, che sfocia in panico nel momento del contatto con la sregolatezza materna, cogliendo il soggetto nel pieno della sua interrogazione.
In questo caso questa ipotesi trova conferma, operando la madre una cancellazione della distanza alla quale fa seguito una reazione disordinata e caotica che si può definire, fenomenologicamente parlando, panico.
Da cosa è determinato il momento acuto di crisi? Da un’eccedenza di madre, la quale irrompe nella stanza frantumando l’oggetto separatore: il cane.
L’ interrogazione su cosa l’Altro voglia, messa in moto per farsi ragione dell’aver visto in esso una faglia, termina con la peggiore delle conclusioni:
l’oggetto che manca all’Altro è lei, nella sua interezza . Proprio per scongiurare questa certezza di oggetto fagocitato, la ragazza agisce precipitandosi fuori casa.
Ecco dunque che viene svelata l’accessorietà del disturbo da attacco di panico.
*(i dati anagrafici , geografici e qualunque segno che possa ricondurre al riconscimento sono paludati secondo le vigenti leggi sulla privacy)